

Di recente si parla moltissimo del grano e della sua provenienza per realizzare una pasta buona. In un nostro recente articolo vi abbiamo raccontato del nuovo grano Marco Aurelio, mentre il grano Senatore Cappelli lo conoscete anche grazie ad una nostra nuova pasta. Ma che cosa sono e come giungono fino a noi questi cosiddetti “grani antichi”?
Si racconta che il percorso del grano sia iniziato più o meno novemila anni fa, per un errore biologico, come accade spesso per le cose più belle e importanti: una fusione casuale tra il genoma del farro e della cosiddetta “erba delle capre”.
È probabilmente l’origine caprina il tratto più distintivo dei grani antichi: il fatto che siano sopravvissuti è legato alla loro grande capacità di attecchire e resistere su terreni impervi e di crescere anche dove vi sia scarsezza d’acqua.
Sono perciò il prodotto di una sorta di riserva naturale, che ha concesso loro di arrivare fino a noi, con tutto il loro patrimonio genetico e nutritivo.
Tutto il loro coraggio vegetale è stato però assecondato in modo decisivo dal coraggio di chi ha creduto in loro: quegli agricoltori che hanno scelto, per motivi di agrofilosofia o agrofilologia (ai lettori la scelta), di puntare su grani di bassa resa, non trattati con diserbanti e concimi, ma certamente più buoni sotto tanti punti di vista.
Questo solamente per dire che la longevità dei grani antichi è certamente una questione legata ad un particolare tratto genetico, ma è dovuta, al tempo stesso, ad un’importante intenzione di coraggio, sia vegetale che umano. Questi due fattori consentono il passaggio sulle nostre tavole di una più grande salubrità quotidiana.
In fondo c’è soprattutto questo dietro ai nomi bizzarri delle varietà antiche: Timilia, Rieti, Grano del Miracolo, oppure, perché no, anche se ha solo cento anni, Senatore Cappelli: una studiata proporzione di coraggio vegetale e umano.
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