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Qual è il rapporto tra agricoltori e coltivazione biologica? Quali le nuove frontiere, dopo il boom? Ce lo spiega Alessandro Pulga dell’ICEA, prestigioso ente di certificazione
Dagli ultimi dati emerge che i consumatori apprezzano sempre di più pasta biologica e altri alimenti provenienti da coltivazioni bio. Ma qual è il punto di vista degli agricoltori? Si può registrare una crescente attenzione da parte degli agricoltori verso i metodi di coltivazione biologica, e con quali aspirazioni e problematiche?
Per fare chiarezza ci siamo rivolti ad Alessandro Pulga, Direttore dei settori Non Food e Responsabile del Sistema di Controllo per i settori Food dell’ICEA (Istituto di Certificazione Etica e Ambientale).
Salve Alessandro, qual è il grado di attenzione degli agricoltori nei confronti dei metodi di coltivazione biologica?
Dati alla mano, gli operatori biologici certificati in Italia nell’arco di un ventennio sono quintuplicati. Dopo un primo decennio di crescita esponenziale, supportato da generosi incentivi comunitari a favore dello sviluppo di un’agricoltura ecocompatibile, ora il numero degli agricoltori che seguono la strada del biologico si è stabilizzato mentre continua ad aumentare il numero dei laboratori e industrie alimentari che inseriscono il biologico nella loro gamma di prodotti.
Quali sono le aspirazioni degli agricoltori che scelgono bio?
Gli agricoltori biologici sono più giovani rispetto alla media nazionale, sono quelli che guardano maggiormente al futuro investendo su un modello di agricoltura basato sui principi della sostenibilità, dell’eco-compatibilità e della tutela della salute. Non dimentichiamo che la categoria dell’agricoltore è tra quelle più a rischio salute a causa dell’impiego, a volte sconsiderato, di sostanze chimiche nocive.
E le loro problematiche?
Fino a una decina di anni fa la scelta del biologico rappresentava per l’agricoltore una risposta efficace alla globalizzazione dei mercati. Negli ultimi anni purtroppo gli effetti della globalizzazione si fanno sentire anche lì: la grande distribuzione organizzata (GDO) ha ridotto notevolmente i margini dei produttori anche in questo settore.
Come stanno reagendo agli effetti della globalizzazione?
Riscoprendo i principi fondanti del movimento: la filiera corta, il consumo stagionale, l’agricoltura di prossimità e i gruppi di acquisto solidale. Alla base di questo nuovo modello di consumo c’è principalmente una diversa idea di vita e di convivenza con gli altri, sia verso il contadino sia verso le altre famiglie che compongono il gruppo di acquisto. La certificazione biologica o biodinamica è il giusto coronamento di questa scelta; oggi addirittura c’è chi inizia a proporre l’introduzione di standard Fairtrade (Commercio Giusto) anche nel nostro Paese. Fino ad ora ci siamo giustamente preoccupati di garantire un prezzo sufficientemente remunerativo ai piccoli produttori del Sud del Mondo scordandoci troppo spesso dei gravi problemi degli agricoltori italiani alle prese con condizioni di mercato troppo competitive.
Spesso si pensa che le coltivazioni biologiche prevedano un maggiore costo di produzione, perché la resa è meno alta. È davvero così?
È così per buona parte della colture. La riduzione delle rese è spesso una normale conseguenza dell’applicazione del metodo di produzione biologico. Succede in particolare per le colture orticole e frutticole aggredite più facilmente da parassiti e malattie. Non mancano però casi in cui le produzioni sono comparabili a quelle convenzionali. Per i cereali e altre colture estensive, infatti, la riduzione delle rese è facilmente compensata dai minori costi dovuti al non impiego di antiparassitari e concimi chimici di sintesi.
Il divario tra i prezzi è quindi solo questione di resa?
Il prezzo finale di un prodotto è anche molto influenzato dalle successive fasi di trasformazione e distribuzione. Il biologico, spesso, soffre delle minori economie di scala e dei maggiori costi di distribuzione dovuti ai minori volumi trattati e dal ridotto turn-over sui banchi dei supermercati.
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